Autunno 2004: galoppavo in sella a un cavallo bianco sulle note di Left Outside Alone di Anastacia.
Il cavallo si chiamava Amedyk’s, stavo lottando per averne il controllo, e odiavo Anastacia. Perché questa fantastica esperienza?
Un paio di settimane prima ho rovinato una gara importante: durante il mio percorso Amedyk’s si è spaventato della musica, ha cominciato a correre per scappare più lontano possibile e mi ha trascinata via, non avevo controllo.
Dovevo riuscire ad aiutare Amedyk’s a superare la sua paura, perché presto avrei di nuovo gareggiato con una colonna sonora (sto parlando della Kur, un tipo di competizione dove cavallo e cavaliere fanno un percorso a ritmo di musica, qui il mio mito assoluto di sempre).
Ecco perché per i giorni successivi mi sono allenata con la musica a volume sempre più alto, con Anastacia che urlava dalle casse a bordo campo.
Un po’ anche perché al mio allenatore piaceva farmi i dispetti. Mi diceva: “Sei agitata, guarda che il cavallo lo capisce! Prova a pensare quello che vuoi che faccia, rimani ferma sulla sella, fai finta che la musica non sia il problema”.
Avevo zero fiducia in Amedyk’s e nella possibilità di potergli dare coraggio.
Alla fine, però, gli ho dato ragione.
Dopo settimane di ascolto di Anastacia io e Amedyk’s siamo diventati quasi telepatici: sentivo quando era più attento a qualcosa e con una carezza gli facevo capire che non eravamo in pericolo, che io ero serena, e lui si tranquillizzava.
Io pensavo a dove andare, senza muovermi, e lui girava, accelerava, si fermava, ripartiva, cantava, suonava e ballava la tarantella.
Da quel momento ho perso il controllo
un po’ meno spesso e ho vinto un po’ di più.
Crescendo, ho capito che la connessione che avevo con Amedyk’s la avevo da tempo anche con le persone più vicine a me, con la mia famiglia e con i miei amici. A volte, anche con i miei colleghi.
Ho voluto parlare di connessioni, empatia, emozioni con Isabel Gangitano, una professionista del mondo della comunicazione che ha dato vita a Lebasi, un contenitore editoriale di divulgazione sulla salute mentale.
Da questo progetto sono nati due podcast, un primo autoprodotto e un secondo scritto per il Post, oltre a una serie di articoli per VICE.
Il fil rouge di tutto è il dialogo con le psicoterapeute del centro Spazio Forma Mentis di Milano, che rispondendo alle sue domande aiutano a decodificare i meccanismi della nostra mente e comprendere le più comuni situazioni di disagio o dolore.
Lebasi è il podcast in cui approfondisci alcuni temi che ti interessano, al di fuori del tuo contesto professionale. Come mai hai deciso di impegnarti in questa attività?
Tutto è nato nel 2020, quando ho perso il lavoro in mezzo ai due lockdown. Quell’autunno è stato difficile: complici anche le restrizioni sociali, passavo tutte le giornate su LinkedIn a cercare offerte di lavoro e nel mentre mi chiedevo se quello che stavo cercando fosse la cosa giusta per me. Il percorso di psicoterapia mi ha aiutata ad accogliere la tristezza del momento e focalizzarmi su quello che mi avrebbe fatto piacere fare - sostanzialmente capire come occupare tutto il tempo che avevo a disposizione.
Fermarmi mi ha fatto riconnettere con me stessa e mi sono soffermata sulle risorse che avevo già a disposizione per passarmela un po’ meglio.
Non ho dovuto cercare molto lontano per capire che quello che avevo visto durante il mio percorso di psicoterapia era prezioso e sarebbe potuto essere d’aiuto ad altri, in un momento in cui la salute mentale di tutti era messa a dura prova. Mi sono quindi rivolta alle socie fondatrici del Centro Clinico Spazio Formamentis di Milano che hanno accolto con entusiasmo la mia proposta di portare in un podcast la loro conoscenza e le mie tante domande, e così è nata una primissima stagione dalla mia cameretta. Ecco come è nato tutto.
E hai deciso che per svilupparlo avresti approfondito i temi della salute mentale. Come è nata questa tua passione?
Sono sempre stata molto affascinata dal lavoro che si riesce a fare durante le sedute di psicoterapia. Io, per esempio, ho iniziato ad andarci in un momento in cui mi sentivo “in trappola” in tante situazioni che non mi vivevo bene e dalle quali non riuscivo a uscire.
In un percorso di conoscenza di me stessa e connessione con me stessa, ho scoperto che alcune volte basta solo mettersi in un’altra posizione, cambiare un punto di vista, provare a vedere le cose da un’altra prospettiva perché ti si aprano davanti tantissime strade – nel mio caso vie di uscita.
Questo “potere”, inteso proprio nella sua accezione di “facoltà di fare, secondo la propria volontà”, mi affascina da quando ci sono entrata in contatto e Lebasi è il giusto contenitore per veicolare e fare divulgazione su un tema così complesso come il prendersi cura del proprio benessere mentale e il potenziale che ne deriva.
E la ricerca del lavoro nel frattempo come andava?
Il lavoro poi fortunatamente è arrivato e neanche dopo tantissimo tempo, devo essere onesta, ma Lebasi è rimasto: anche dopo aver ricominciato a lavorare non ho abbandonato questo progetto, durante la sera, nei weekend, appena avevo un attimo.
Nella prima “stagione” di Lebasi, quella fatta dalla tua cameretta, tratti tanti temi, ma poi ti concentri sulle emozioni in questa seconda prodotta dal Post. Come mai?
Quando ho registrato le primissime puntate da sola con le psicoterapeute del centro Spazio Formamentis, non avevo un piano editoriale molto definito. Eravamo partite dall’affrontare alcuni temi più comuni e di cui si discuteva poco in quel periodo, a quasi un anno dalla pandemia (ansia, calo del desiderio, app di incontri). Poi siamo passate a parlare di altro, anche di emozioni. L’ultima puntata che avevamo registrato era proprio sulla differenza tra quelle primarie e secondarie, ma si fermava lì.
Per il Post ho messo un po’ in ordine quello che avevo fatto prima e il tema non poteva che essere l’approfondimento delle emozioni primarie. Mi sembrava il tema giusto per arrivare a un pubblico sicuramente più ampio di quello che avevo perché anche se può sembrare banale, penso che se noi stiamo bene o stiamo male nella nostra vita tanto dipende da come ce la viviamo, da come viviamo le nostre relazioni, da quello che decidiamo di dire o meno, da come decidiamo di reagire, quindi dai nostri comportamenti, e in tutto questo, anche e soprattutto le emozioni giocano un ruolo fondamentale.
È come se le emozioni fossero un tipo di termometro della nostra salute mentale.
In base a quanto sappiamo riconoscerle e gestirle sappiamo come stiamo: esempio, se siamo totalmente fuori controllo, e la nostra rabbia diventa aggressività e impulsività costante potremmo trovarci in situazioni di disagio, con noi stessi o con gli altri, sintomo del fatto che forse c’è margine per star meglio, partendo proprio dalla nostra rabbia, dal conoscerla e imparare a starci.
Nel podcast però non parli mai della tua esperienza diretta con le emozioni.
Durante il podcast no, mai. Ho volutamente deciso che per ora la mia storia, la mia diretta esperienza non serva a Lebasi. A Lebasi per ora serve solo la mia buona dose di domande e una professionista che mi dia le risposte. Invece nelle mie sedute, le emozioni sono presentissime! Durante tante delle mie sedute di psicoterapia ci ho lavorato molto.
Per farti un esempio, la prima volta che la mia psicoterapeuta mi ha aiutato a decostruire la rabbia mi ha spiegato che forse sbagliavo prima di tutto a identificarla: il sentirmi “arrabbiata” in certe situazioni, in realtà nascondeva una mia paura, non l’emozione della rabbia.
Anzi proprio da questo esempio, l’idea di occuparci delle emozioni in un podcast ad hoc: confrontandomi con la Dottoressa Barbieri in una fase di puro brainstorming per il progetto, parlando di questa confusione tra rabbia e paura mi ha confermato di quanto sia comune e di conseguenza di quanto sia dilagante il disagio che ne deriva.
Oggi che di questo tema, della salute mentale, ne hai fatto un progetto personale, come vivi l’ambito professionale?
Un po’ come per tutti, il lavoro è lo spazio in cui indubbiamente passo più tempo durante la settimana, e questo ovviamente comporta vivere quello spazio, interagire costantemente con altre persone, mettersi alla prova, in gioco, uscire anche dalla fatidica comfort zone etc. Tutte esperienze che indubbiamente mi attivano emotivamente (sorride).
Da quando vado in terapia in realtà, prima ancora che nascesse Lebasi, sto lavorando sull’accettazione di certi miei meccanismi mentali, sui processi che la mia mente mette in atto senza che io me ne accorga se non a fatto compiuto, e ovviamente sulle mie emozioni.
Non è semplice controllare la propria paura o riuscire a vedere le cose sempre da un’altra prospettiva per darsi la possibilità di star bene, nemmeno per me che ne ho fatto un podcast!
Considerando il lavoro che stai facendo su di te, il podcast e quant’altro, riesci a vedere anche le emozioni degli altri?
È essenziale prima di tutto conoscere sé stessi, entrare in connessione con sé stessi, per essere più empatici nei confronti degli altri.
Ogni tanto provo a mettermi nei panni di osservatore degli altri. Certo, è molto più facile se quello che sto guardando non mi riguarda, come in tutte le cose. Però è sicuramente un bell’esercizio.
Ti faccio un esempio: se vedo una persona particolarmente aggressiva, adesso cerco di pensare che si stia comportando così non per “rabbia”, ma per paura. Spesso quando ci sentiamo attaccati o sulla difensiva, attacchiamo a nostra volta, e questa non è detto che sia rabbia, nella maggior parte dei casi è paura.
Ecco se la vediamo da questo punto di vista probabilmente non diventeremo aggressivi a nostra volta, ma abbasseremo le nostre difese e saremo più propensi all’ascolto.
Non facile eh, ovviamente un lavorone, anche un po’ Marzulliano. A oggi sono sicuramente più le volte che non riesco a farlo piuttosto che quelle in cui riesco, però è un work in progress!
C’è qualcosa di inaspettato che ti ha portato questo progetto?
Alcuni feedback sono stati proprio inaspettati.
Mi hanno scritto alcune persone dicendomi che hanno portato in seduta di psicoterapia il podcast per parlare della loro situazione, altri semplicemente ci hanno ringraziate per aver spiegato il tutto in maniera semplice e diretta.
Un’altra cosa che mi ha fatto davvero piacere è stato leggere i messaggi di alcuni professionisti del settore, psicologi e psicoterapeuti, che ci facevano i complimenti per il modo in cui abbiamo deciso di trattare l’argomento senza mai banalizzarlo, e soprattutto, che hanno deciso di condividerlo con i loro pazienti come uno strumento in più. Qui apoteosi!
Cosa dobbiamo aspettarci ancora da Lebasi?
Il mio sogno nel cassetto è portare Lebasi e tutto quello che è oggi nelle scuole.
Se ci pensiamo, nessuno ci insegna cosa siano le emozioni e come usarle, e il periodo dell’adolescenza è forse il momento più confusionario di tutti, tra i cambiamenti fisici, il cambio di scuola tra medie e liceo, le prime domande su chi si vuol essere da grandi. Sono tutte dinamiche che muovono un sacco di emozioni, e nessuno te le spiega.
Vediamo se ci riuscirò, nel frattempo sto continuando a scrivere.
Andate ad ascoltare i podcast di Isabel su Spotify e sul Post!
Piccolo alert!
Isabel ed io non siamo professioniste del settore e non diamo consigli sulla salute mentale, pensiamo però che sia importante fare divulgazione su questi temi, per fornire a tutti gli strumenti più adatti a conoscersi meglio.
Grazie per aver letto fin qui.
Per me è stato molto utile parlare con Isabel di quanto sia importante conoscersi per stare bene anche con gli altri. Spero sia stato interessante anche per te, e se hai voglia di parlarne, scrivimi!