Non mi piace sbagliare
o aspettare che arrivino i risultati per cui sto lavorando, e non sono sempre sicura di capire le emozioni di chi mi sta intorno
Ma non mi faccio scoraggiare, e sbaglio, aspetto, ascolto.
Faccio tutte e tre le cose insieme quando vado a lezione di pianoforte – avevo promesso qui che l’avrei fatto – dove sbaglio molte note, aspetto il momento magico in cui il mio cervello e le mie dita si sincronizzano, ascolto il mio insegnante, Alberto Mancini, che con pazienza mi spiega un mondo di teoria, lettura degli spartiti, generi musicali. Seguitelo e andate a uno dei suoi concerti, perché è proprio bravo.
Da quando uso parte del mio tempo libero per fare cose che mi piacciono, affronto con più serenità alcune cose che prima mi mettevano molta agitazione.
Del resto, se posso stonare in modo clamoroso cantando Alicia Keys durante le lezioni di pianoforte, probabilmente posso anche fare una telefonata di lavoro senza sudare freddo; se è vero che posso continuare a imparare cose nuove, è vero anche che non devo per forza avere tutte le risposte, anzi sono autorizzata a sbagliare e a non prendermi troppo sul serio quando succede.
Ho parlato di come coltivare una passione possa aiutarci ad affrontare il lavoro e la quotidianità con Valeria Pusceddu
Valeria ha 27 anni, è sarda, da qualche anno si è trasferita a Milano e per lavoro scrive per sé stessa e per altri: è stand-up comedian e copywriter.
Abbiamo riso moltissimo durante la nostra chiacchierata, non specificherò mille volte “ride/rido/ridiamo, ndr” e conterò sul vostro senso dell’umorismo.
Partiamo dalle cose che scrivi per te stessa: quando hai iniziato a dedicarti alla stand-up comedy?
Ho iniziato a novembre 2017. In quel periodo volevo provare cose nuove, uscire dalla comfort zone. Ho pensato di iniziare perchè mi è sempre piaciuto scrivere. Quando ero più piccola ho fatto lezioni di teatro e più che stare sul palco mi divertiva lavorare al copione: ogni tanto ci lasciavano scrivere rielaborazioni o produzioni originali, con la supervisione di insegnante e regista. Per me quella era la parte più bella!
E a novembre 2017 cosa è successo? Come sei passata dallo scrivere dietro le quinte ai monologhi sul palco?
In Sardegna c’è un collettivo che organizza eventi di stand-up, andavo spesso ad ascoltarli come pubblico. Una volta mi è venuta voglia di provare a salire sul palco. Poi ho provato anche la seconda e la terza volta, e così sono passati cinque anni. Alla fine sono andata un po’ oltre le quinte!
Qual è la cosa che ti piace di più della stand-up?
La cosa che mi piace di più è che riesco ad arrivare a persone che hanno voglia di ascoltarmi parlare di temi che mi stanno a cuore. In questo modo conosco persone nuove, super interessanti, con cui magari in altre circostanze non avrei parlato.
Anche il fatto che tu, dal palco, parli di cose che ti interessano probabilmente stimola le persone che ti ascoltano e che hanno i tuoi stessi interessi a parlarti per confrontarsi con te. Se dovessi riassumerli, quali sono i temi di cui parli nei tuoi monologhi?
Il mio primissimo monologo parlava di omofobia e parità di genere, sono partita subito così, poco divisiva, e sono ancora temi di cui parlo spesso. Nel vecchio spettacolo parlavo anche di antifascismo, mentre nel tour attuale di andare in terapia, o degli effetti collaterali della pillola anticoncezionale.
In generale, sono temi di cui solitamente non si parla apertamente. E questo, secondo me, crea disinformazione.
Non pretendo di fare informazione, ma mi rendo conto che parlandone sul palco posso dare il via a un confronto su questi argomenti. Capita che a fine spettacolo si avvicinino persone dal pubblico per condividere le loro opinioni. Così si crea un bel senso di comunità, anche fuori dai social.
Sei riuscita a trovare un pubblico che ti ascolta e che vuole confrontarsi con te. Ti immaginavi di diventare così?
No, non me lo immaginavo! Dalle elementari fino alle medie il mio sogno era di diventare una paleontologa. Mi ricordo che una volta ho ricevuto per regalo quel kit per bambini – che in realtà era da archeologi – in cui dovevi ricostruire un vaso partendo dai cocci che avresti trovato martellando un blocco di terra. Io ero entusiasta!
E la pratica sul blocco di terra ti ha scoraggiata? Come mai hai rinunciato a diventare paleontologa?
No, è successo che alle medie ho partecipato a un seminario con degli archeologi – non erano nemmeno paleontologi – che ci hanno incoraggiati dicendo: “Non fate mai questo lavoro, ci pagano pochissimo”. Ma io avevo undici anni e tanti sogni! E da quel momento ho cambiato idea e mi sono interessata al cinema, al mondo dello spettacolo, che si collegava anche alla mia passione per la scrittura, che c’è sempre stata.
Quindi se dieci anni fa ti avessi chiesto cosa saresti diventata da grande?
Ti avrei risposto: sarò una scrittrice. Un pochino ci ho preso!
Oggi scrivo, anche se non proprio romanzi. Tanto fare la paleontologia non era il mio.
C’è stato un momento in cui hai deciso che la tua passione sarebbe diventata il tuo lavoro? È una cosa che si decide, che succede, che si pianifica?
Mi rendo conto che sia una cosa rara e ne sono super grata ogni giorno. Diciamo che mi è successo: non sono mai salita sul palco con l’intenzione di diventare famosa, né mi aspettavo dei risultati in generale. Ho iniziato a fare stand-up perché genuinamente mi appassionava.
Quindi tutto quello che è arrivato dopo – nel bene e nel male – l’ho vissuto bene, perché mi piaceva proprio il processo: scrivere i monologhi, portarli sul palco e far ridere le persone.
Lo chiarisco perché vedo che alcune persone che stanno iniziando adesso con la stand-up e che vogliono già il contratto con la rete, il tour nei teatri e tutto, subito. Può succedere però che questi risultati non arrivino subito, o non arrivino mai. E se si comincia con la convinzione di poter ottenere tutto, si rischia di rimanerci molto male.
Per te i risultati sono arrivati.
È successo perché mi sono messa molte volte alla prova.
Ad esempio, quando ho fatto il provino per Comedy Central ero sicurissima che non sarebbe andata bene. Mi sono buttata, e mi hanno presa al primo tentativo. Da quel momento ho cominciato a capire che la mia passione mi stava in effetti portando da qualche parte, e ho pensato avesse senso prenderla più seriamente.
In realtà, io la stavo già prendendo seriamente: quando ho iniziato ho fatto viaggi di ore in macchina per passare cinque minuti sul palco, a volte gratis, solo perché mi piaceva. Quindi, quando ho passato il provino mi sono impegnata ancora di più.
Mi sembra che tu abbia investito molte energie da subito, e col tempo hai realizzato che la stand-up comedy ti sarebbe piaciuta anche come professione.
“Investito” è la parola giusta.
Ho iniziato facendo un po’ di spettacoli in Sardegna, dove abitavo. Il primo anno così è andato bene, ma questo è un lavoro in cui devi continuamente uscire dalla tua comfort zone, e infatti per migliorare ho iniziato a fare spettacoli anche fuori dalla mia regione.
Quindi tutti i soldi di compleanni, Natale, laurea sono stati trasformati in biglietti aerei, per poter fare qualche minuto di spettacolo, spesso gratis, in città come Milano, Bologna, Roma.
Tutto questo è stato un investimento che ho fatto con piacere, perché viaggiare mi ha dato l’opportunità di conoscere altri comici dal vivo invece che in video, e ho potuto osservare come l’interesse delle persone verso i miei monologhi cambiava in base a dove ero.
Ho capito spostandomi che il mio pubblico esiste, ed è più sparso di quanto pensassi all’inizio.
Immagino che la connessione tra voi comici, ma anche con il pubblico, sia completamente diversa dal vivo rispetto ai social.
È vero, comunque anche sui social possono succedere cose belle: ci sono persone che ti conoscono prima online, e poi vengono a vederti live; persone con cui sono diventata amica, con cui mi sento spesso.
È una cosa bellissima.
Poi c’è la parte negativa dei social: persone che non attaccano il cervello alle mani e scrivono commenti cattivi, a volte denunciabili, come se non potessi vedere dal loro account il loro nome e cognome. A me fa ridere: probabilmente queste persone non direbbero mai cose del genere nella vita reale, fuori dai social.
È bellissimo che il tuo lavoro ti piaccia così tanto. Però è sempre un lavoro: ti capita mai di non avere voglia, anche se si tratta fare qualcosa che ti appassiona?
Prima che diventassero professioni passavo il mio tempo libero guardando video di stand-up, leggendo libri sulla comunicazione, seguendo corsi online di marketing perché mi piaceva.
Quando ho iniziato a lavorare come comica e come copywriter, questa cosa è un po’ cambiata: alcune sere non mi andava proprio di leggere libri di comunicazione, per esempio, e non capivo perchè. In quel momento stavo continuando a lavorare, e non me ne rendevo conto.
Non avevo mai pensato che la mia voglia di informarmi sulle cose che mi piacevano durante il mio tempo libero sarebbe cambiata.
E allora cosa hai deciso di fare del tuo tempo libero?
Mi sono resa conto che nel momento in cui le cose che mi appassionano diventano un lavoro, il mio tempo libero deve essere assolutamente gestito diversamente.
Essere appassionati del proprio lavoro è bellissimo, ma secondo me per riappropriarsi del proprio tempo libero bisogna trovare degli hobby non remunerativi, in cui si ha la libertà di fare schifo, e va benissimo così.
Per quanto possa piacere, il lavoro è sempre lavoro, e bisogna avere la possibilità di non pensarci, di tanto in tanto.
Mentre mi raccontavi la tua storia mi è venuta in mente la citazione “Scegli un lavoro che ti piace e non lavorerai mai un giorno della tua vita". Io non penso che sia una condizione possibile. Con la tua storia me lo stai confermando?
Sì, è una grandissima stronzata! È vero anche che se il tuo lavoro ti piace ti senti un po’ ingrata quando sei stanca e non hai voglia, perché ci sono tantissime altre persone che purtroppo sono costrette a fare lavori che non amano, in ambienti in cui si trovano male.
Allo stesso tempo, la consapevolezza di essere fortunata non migliora la situazione delle altre persone, quindi te la puoi vivere anche più serenamente quando capita che non hai voglia di lavorare.
Io la vedo così: per quanto ti piaccia il lavoro è un impegno, e gli impegni in generale possono diventare noiosi.
Vero, a me pesa soprattutto la parte di burocrazia. C’è la parte bella, divertente: i monologhi, il conoscere nuove persone. Per concretizzarla però vanno prenotati i treni, vanno mandate le fatture, vanno mandate giuste! Quando ho iniziato non sapevo niente di queste cose, ed è frustrante per me.
È vero! Però mi dicevi che riesci a staccare la testa dal lavoro passando il tuo tempo libero in modo diverso, anche provando cose che non sai fare. Tu cosa ti sei inventata?
Ho scoperto che mi piacciono yoga e pilates, probabilmente li faccio male, ma non mi interessa e sono diventata una “mamma dell’instagram”, col tappetino e la borraccia colorata. Ho anche scoperto che mi piace cucinare e che mi diverte inventare ricette, provare a cucinare verdure particolari.
Alcuni piatti mi vengono bene e ad un certo punto ho pensato di aprire un profilo social sul food, ma poi mi sono bloccata: devo avere la libertà di fare schifo quando mi dedico ai miei hobby, è quasi obbligatorio.
La tua passione per la scrittura, invece, la coltivi anche in privato oltre che per lavoro? Scrivi mai qualcosa che sai che leggerai solo tu?
Non proprio, in realtà. Provo a tenere un diario, però non sono molto costante. Però è un bel punto: c’è un romanzo che avevo iniziato a scrivere alle superiori che avevo mollato perché non pensavo che fosse abbastanza d’impatto.
Effettivamente potrei provare a finirlo solo per me, a scriverlo solo per il piacere di farlo.
Sarebbe bello! Hai fatto già un sacco di esperienze, comunque: pensi di aver realizzato alcuni dei tuoi sogni?
Non direi, non sono una paleontologa. Però ho solo 26 anni e tutta la vita davanti, può ancora succedere! Magari sarà il prossimo Indiana Jones, anche se non era un paleontologo, era un archeologo.
Mi fa ridere, perché nella comicità c’è la differenza tra stand-up comedy e cabaret, e io mi immagino la stessa diatriba tra paleontologi e archeologi tipo “No, no! Noi non siamo quelli là”.
La differenza tra archeologi e paleontologi per me è che Ross di Friends è paleontologo, Indiana Jones è archeologo. E invece qual è la differenza tra stand-up e cabaret?
La stand-up è un monologo in cui interpreti te stesso. Nel cabaret, invece, di solito interpreti un personaggio e sul palco puoi anche essere in compagnia di altri comici. Perlomeno, questa è la differenza che vedo io.
Quindi nelle tue stand-up c’è il 100% di te stessa?
Dipende! A volte invento alcune parti perché penso siano più divertenti dell’episodio che sto raccontando, a volte è tutto vero, a volte tutto inventato. Comunque tutti i miei monologhi partono sempre da qualcosa di personale, da un mio pensiero, o da un mio tratto caratteriale.
Ti senti rappresentata, ma non è la tua autobiografia.
Esatto. Però, ad esempio (Spoiler Alert ndr): quel racconto su quando sono entrata in consultorio è vera: tutti erano convinti che volessi abortire, in realtà volevo solo vedere la psicologa. Ero confusa anche io, non capivo tutti i fogli di ricovero che mi volevano far firmare.
Le storie più assurde di solito sono quelle che ti sono capitate davvero!
Quando hai iniziato invece a suonare l'ukulele e scrivere le canzoni che canti sul palco?
Ho iniziato perché mi piace! Tempo fa avevo imparato a suonare il basso elettrico, ma mi scocciava collegarlo all’amplificatore ed era molto scomodo da portare in giro.
Quindi ho pensato: qual è lo strumento acustico che posso trasportare facilmente? L’ukulele!
Lo suonavo a caso: alle superiori inventavo delle canzoncine-parodie per imparare meglio gli argomenti. Ti giuro che funzionava!
Inventavo canzoni su qualunque cosa, una si chiamava “Ho visto un cane” e parlava di razze di cani e del fatto che ogni volta che ne vedo uno voglio accarezzarlo.
Non ho mai smesso di scrivere canzoni, e quando ho iniziato con la stand-up comedy ho continuato a farlo per il palco.
Sei diventata comica, copywriter, un po’ musicista, e magari in futuro diventerai anche paleontologa. Sai già cosa vuoi diventare dopo? Qual è il tuo prossimo obiettivo?
Me l’ha chiesto anche la mia psicologa, ti darò la stessa risposta che ho dato a lei: così, ma con più soldi!
Con più soldi per farci cosa?
Un trilocale con una stanza per il basso?
Grazie per aver letto fin qui!
Io mi sono divertita molto a parlare con Valeria di passioni, della libertà di fare cose che ci piacciono anche se non ci vengono bene e della differenza tra paleontologi e archeologi.
Spero sia stato interessante anche leggerlo su Andature.